Grazia Varisco, Ospitare lo Spazio. Installation view alla M77 Gallery. Foto di Lorenzo Palmieri
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Gli spazi fisici e mentali di Grazia Varisco in mostra a Milano

di Alessia Delisi - Novembre 14, 2019

Dalle opere degli anni Sessanta fino ai lavori più recenti, Ospitare lo Spazio è la mostra che la M77 di Milano dedica a Grazia Varisco, protagonista dell’arte programmata che per l’occasione reimmagina gli ambienti della galleria di via Mecenate.

Inaugura il prossimo 18 novembre Ospitare lo Spazio, la mostra che la galleria milanese M77 dedica a Grazia Varisco (Milano, 1937), artista – «Artista!? Dicono… e io me la godo!», scrive lei nella sua “quasi autobiografia” – esponente di quella tendenza che Bruno Munari aveva definito arte programmata, intendendo con ciò ogni opera prodotta secondo una virtualità formale che ne moltiplica i contenuti linguistici. Curata da Danilo Eccher, l’esposizione, aperta al pubblico fino al 29 febbraio, presenta così una selezione di lavori – tra cui sculture e installazioni – che, partendo da quella che fu una vera e propria stagione di climax produttivo dell’artista meneghina, ovvero gli anni Sessanta, arriva fino alle creazioni recenti, in un serrato dialogo visivo con l’architettura e gli ambienti della galleria di via Mecenate.

Grazia Varisco, Ospitare lo Spazio. Installation view alla M77 Gallery. Foto di Lorenzo Palmieri

«Nella mia esperienza il “caso” si insinua, come un groviglio confuso, tra probabilità e dubbio. Il “caso” evita, tenta di schivare il “caos” e sistemarsi nello spazio e nel tempo, ignorando la regola che esige precisione, regolarità, ortogonalità, ordine, sequenza cronologica. Il mio “se…”, dubbioso, si annida nella piega della pagina che per “caso” scompagina la regola che in tipografia e in legatoria ingabbia tutto nella normalità», dice Varisco per spiegare la propria ricerca. In effetti l’artista ha spesso interagito con gli spazi di un centro ancora marginale, da riscoprire come percorso fra le architetture di una città attraversata durante il giorno. Accade nelle ricerche degli anni Settanta e Ottanta, come Between per esempio (1973–1981), dove la luce dialoga con l’ombra creata da improvvisi ostacoli urbani. Ma accade anche negli Gnomoni, nei quali la meridiana mette in connessione alcuni aspetti apparentemente contraddittori della vita delle persone, a partire dalla necessità di conoscere l’ora e dare un carattere di profondità a ciò che appare come bidimensionale.

Grazia Varisco, Ospitare lo Spazio. Installation view alla M77 Gallery. Foto di Lorenzo Palmieri

Dislocate nei due piani della galleria, le opere in mostra uniscono ciò che è solo apparentemente diviso, mostrando come comunicanti e compenetranti ambienti distinti e appartati. Entrando si viene così accolti dalla tridimensionalità (reale o illusoria) di opere come Oh! (1996), Extrapagina (1983) e Grande Dépliant (1983-84). Varisco parte da forme geometriche primarie e le altera con la semplice operazione del piegare. Da bidimensionali le figure acquistano in questo modo la terza dimensione, prendono direzioni imprevedibili, si alzano, si compenetrano, ampliano insomma il loro raggio d’azione, si fanno spazio. Lo spettatore che giunge al piano superiore – con i Quadri comunicanti 7+1 (2008), i Quadri comunicanti filo rosso (2008), i Quadri comunicanti Jar (2012) e i Comunicanti in Acciaio (2008) – è stimolato da questa sorta di trappola visiva che non lascia indifferenti: un’indagine dello spazio, nella sua accezione fisica e mentale, del suo esistere e del suo possibile dilatarsi.

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